Multiproprietà, condominio, clausole vessatorie e codice del consumo
di Maurizio Voi
I principali problemi.
Forse i tempi sono maturi per affrontare seriamente i problemi di gestione ed amministrazione degli immobili in multiproprietà (o ad uso turnario) spesso inseriti in un più ampio complesso immobiliare (supercondominio).
I regolamenti di amministrazione della multiproprietà nati negli anni novanta sono stati “costruiti” per accentrare i poteri di gestione, rendere quasi impossibili le assemblee dei proprietari.
Si rinvengono poi clausole che precludono l’accesso all’appartamento nel periodo acquistato, se il proprietario è moroso nei pagamenti, venendo direttamente gestito dall’amministrazione.
La protezione per una amministrazione esclusiva e senza particolari vincoli di rendiconto nei confronti dei proprietari così come riconosciuti inderogabili dalle norme sulla comunione e sul condominio (Titolo VII, Capi I e II del codice civile) è poi blindata da clausole di arbitrato e diverso Foro di competenza, rispetto a quello ove è ubicato l’immobile (art.23 cpc) per l’eventuale instaurazione di un giudizio.
Il tutto per rendere quasi impossibile l’accesso alla giustizia ordinaria giurisdizionale del singolo proprietario poiché, quasi sempre, l’arbitrato con sede in un luogo dove il potente imprenditore che ha venduto gli immobili ha la sua attività principale fa comprendere al cittadino la sua impotenza.
Così il multiproprietario si trova davanti ad un dilemma, accettare di pagare spese imposte e spesso abnormi per poter godere della vacanza nel periodo acquistato, non pagare e vedersi impedito l’accesso, ovvero reagire con costi di giustizia importanti magari sapendo che il giudizio arbitrale potrebbe non dargli soddisfazione vista la sede ove dover radicare il giudizio?
Perché spesso nei regolamenti della multiproprietà l’assemblea “in presenza” è sostituita da un voto da esprimere per raccomandata da inviare all’indirizzo dell’amministratore e l’eventuale invito a convocare una classica assemblea ove poter confrontare le proprie idee ed interrogare l’amministrazione sui conti è subordinata ad una richiesta all’amministratore che deve essere presentata da un numero di proprietari quasi impossibile da contattare.
Attualmente i gestori delle multiproprietà infatti hanno buon gioco nell’opporre anche le norme sulla privacy per rifiutare l’invio degli indirizzi (opposizione che però non ha patria).
Norme imperative e nullità.
Ora è noto che gli appartamenti in multiproprietà sono inseriti in un edificio in condominio e, spesso, i condominii sono più di uno con spazi e servizi comuni (si pensi alle multiproprietà marine con piscine, spiaggia e servizi connessi) quindi supercondominio.
La cornice giuridica è complessa poiché la gestione dei singoli appartamenti in proprietà turnaria ha un regolamento, l’amministrazione delle parti comuni dell’edificio che contiene gli appartamenti (condominio) ha altro regolamento anche se spesso vi è commistione, il complesso dei condominii (supercondominio) dovrebbe avere altro tipo di regolamento.
Ma è chiaro che se nei vari regolamenti l’assemblea dei proprietari è sostituita da invio di raccomandate di accettazione o meno dei bilanci e nomina o conferma dell’amministrazione o vi sono clausole che violano i precetti inderogabili di legge sull’amministrazione (art.1117-1139 c.c.) siamo difronte a clausole nulle.
Il problema è come poi reagire se il principio del Giudice naturale costituzionalmente garantito (art.25 Cost.) è sostituito da un giudizio arbitrale (artt.806 e ss c.c.) metodo alternativo di risoluzione delle controversie (ADR), che indica, quasi sempre, la sede del procedimento nello stesso luogo ove ha la sede legale la società che ha venduto le settimane e che, frequentemente, detiene la maggioranza delle quote e quindi controlla di fatto l’amministrazione.
Clausole vessatorie.
Le clausole che sostituiscono al procedimento giudiziario con il procedimento per arbitrato, con apposita clausola, ed indicano la sede del giudizio in un luogo diverso rispetto al luogo previsto dall’art.23 del codice di rito o domicilio del consumatore, sono vessatorie e devono aver formato oggetto di trattativa individuale per essere valide.
E’ quanto prevede il “codice del consumo” all’art.33 (d.l.vo 6.9.2005, nr.206, negli anni continuamente aggiornato).
L’art.33 lett. t) indica come vessatoria la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria; la lett. u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diverse da quelle del domicilio del consumatore.
Tali deroghe vengono così inserite in articoli di chiusura dei regolamenti dei tre istituti sopra indicati (multiproprietà, condominio e supercondominio) che sono stati fatti accettare agli acquirenti al momento nel rogito d’acquisto – per scrittura privata – dal venditore che spesso non riuscendo o non volendo allocare tutte le settimane, rimane in una posizione economica e decisionale dominante.
Cone accennato queste clausole non sono riportate nei contratti che trasferiscono la proprietà rogati con scrittura privata autenticata ex art.1350 c.c., ma inserite nei regolamenti richiamati al loro interno “per relationem” che si dice perfetta, diventando così, grazie alle successive adesioni, regolamenti di natura contrattuale.
Tale tecnica è stata ritenuta valida dalla giurisprudenza di legittimità con sentenze che risalgono nel tempo e non se ne è più discusso.
Ma un problema e grave, sussiste, perché senza apposita contrattazione (art.33 cod. consumo) l’acquirente non può comprendere il valore e la portata delle clausole come sbarramento alla tutela dei propri diritti (si pensi all’impugnazione dell’approvazione di un bilancio votato con raccomandata davanti agli arbitri e la richiesta di sospensione della delibera). Egli rimane così in balia di “gestori” che hanno buon gioco, richiamando quel regolamento, a rifiutare confronti e chiarezza nei conti.
L’indagine sulla vessatorietà delle clausole dei regolamenti della multiproprietà e condominio.
Ora una veloce ricerca giurisprudenziale porterà all’incontro con le sentenze della Suprema Corte che escludono la vessatorietà di queste clausole se inserite in un atto rogato da notaio.
In realtà queste sentenze si riferiscono ad “atti pubblici” mentre la compravendita stipulata con “scrittura privata autenticata” è altra cosa (e non risultano precedenti specifici) e, a mio avviso, apre la via all’ eccezione di invalidità di tali clausole perchè vessatorie, in quanto non oggetto di trattativa individuale (art.33 co.4 cod. consumo).
Inoltre i contratti di compravendita della multiproprietà possono inquadrarsi come contratti per adesione conclusi mediante moduli o formulari per disciplinare in modo uniforme quel particolare tipo di contratto, ed è quindi onere del venditore (“professionista” nella terminologia europea poi trasfusa nel codice del consumo) provare che le clausole siano state oggetto di trattativa separata con il consumatore (nel nostro caso l’acquirente) (art.33 5° co. cod. consumo).
E che il multiproprietario sia un consumatore e tutta la regolamentazione di protezione sia applicabile anche alle vendite in multiproprietà è legislativamente previsto dal d.lgs 23.5.2011 n.179.
Si potrebbe obiettare che la il codice del consumo è entrato in vigore nel settembre 2005 mentre prima erano in vigore altre norme: articoli da 1469bis a 1469sexies (introdotte nel 1996) e prima ancora l’art.1341 2° co. c.c., tutt’ora in vigore.
Ma la Suprema Corte a sezioni unite, nella sentenza n.14669 del 2003 quindi con riferimento all’art.1469bis c.c., all’epoca in vigore e che disciplinava la deroga alla competenza, ha enunciato il principio in forza del quale la citata norma (e aggiungiamo noi anche quella sull’arbitrato) ha natura di “norma processuale” e si applica alle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivante da contratti stipulati prima.
In via analogica il principio è applicabile anche all’art.33 lett. t) e u) del codice del consumo.
Come reagire.
Le clausole di amministrazione della multiproprietà e del condominio (anche supercondominio) da noi indicate come nulle (per esempio l’assemblea che approva i bilanci per raccomandata, ma ve ne possono essere altre) possono essere attaccate in un procedimento giudiziario ex art. 1109 c.c. o 1137 c.c. nel luogo in cui ha sede l’immobile anche se la contestazione dovrebbe essere portata al giudizio degli arbitri secondo il regolamento contrattuale approvato per relationem al momento dell’acquisto del bene immobile ad uso turnario.
Questo perché quelle clausole, a prescindere dal tempo in cui sono state sottoscritte, se non sono state oggetto di apposita contrattazione e separatamente approvate, sono vessatorie e quindi non opponibili al consumatore.
Naturalmente i procedimenti giudiziari hanno un costo ed è spesso elevato in rapporto alla quota del multiproprietario, così si potrebbe essere tentati a non reagire; ed è ciò che si pensò al momento della costruzione di quei regolamenti.
Ma con la costituzione di un’associazione per la tutela di tali diritti le prospettive potrebbero cambiare.